Enterprise (Linked) Open Data

WildHorsesHeaderDopo aver letto questo bell’ articolo di Giovanni Meduni e fresco di una stimolante collaborazione nell’ambito dell’International Open Data Day Italia 2013, mi sento portato a pensare che Open Data sia la strada giusta per portare il dato ad uno stadio evolutivo superiore, in cui esso nasca già con una sua dignità ed un diritto/dovere di crescere, aggregarsi ad altri dati ed evolvere all’interno di un ecosistema vivo e aperto di informazioni in cui poter esprimere il suo vero potenziale grazie all’infinita gamma di possibili riusi che ne potrebbero essere fatti. Ma siamo sicuri che ciò valga solo per il Web?

Andiamo oltre
Proviamo a fare subito un piccolo passo avanti e superare la storia del dato aperto. Proviamo cioè ad immaginare cosa potrebbe significare Open Data se il contesto di applicazione non fosse più quello delle sterminate e infinite praterie del West…pardon…del Web. Immaginiamo di liberare i dati nel “giardino di casa” o nel “parco cittadino”, in un ambiente cioè i cui confini siano sempre sufficientemente ampi da non imbrigliare il dato ma non tanto sconfinati da rallentarne e diminuirne l’immediata percezione del cambiamento generato.
Sto pensando all’ Open Data applicato ad un contesto enterprise, in particolare a quelle aziende che per struttura, numero di dipendenti, estensione territoriale e di mercato potremmo chiamare “Big Enterprises“.
Negli ultimi anni, per motivi professionali, mi sono trovato spesso a che fare con problematiche di gestione della conoscenza in contesti molto ampi di grandi gruppi aziendali (principalmente bancari e assicurativi). Mi riferisco in particolare a tutte quelle attività volte a gestire problematiche che vanno sotto il nome di Enterprise Information Management [EIM].

Vi sono contesti specifici dove tali problematiche risultano particolarmente evidenti, come quello della Governance IT e dell’Enterprise Architecture, in cui i responsabili dell’IT, i manager business e i vari CIO, CTO e CEO di questi grandi ecosistemi informativi si accorgono che l’incisività della loro azione passa inesorabilmente per la possibilità di accedere e manipolare le informazioni in maniera nuova, libera da schemi predefiniti e da vincoli tecnologici e con la possibilità di integrare, disgregare e riaggregare (mesh-up) i dati in maniera rapida, naturale e il più possibile dinamica.

L’esperienza sul campo
Per quella che è la mia esperienza,molto spesso i clienti ritengono di non possedere molte delle informazioni necessarie al raggiungimento dei loro obiettivi. Nel 90% dei casi ciò è falso (e forse nel restante 10% non è del tutto vero).
In realtà quello che serve per capire un AS-IS, disegnare un TO-BE e definire una opportuna roadmap, quasi sempre esiste già  ma non si riesce a vedere o ad utilizzare direttamente. Il dato è nascosto, sepolto sotto tonnellate di applicazioni special purpose, imprigionato come una mummia nel ghiaccio dei complessi sistemi informativi dell’azienda, ridondato e aggrovigliato all’interno di innumerevoli database e data warehouse sotto forme diverse, per non parlare dei troppi casi in cui è umiliato ed esiliato all’interno di fogli excel sui desktop delle singole persone.

Il risultato è un ecosistema complicato di dati stagnanti, prigionieri di schemi e viste opportunamente assemblate in dati momenti storici e in alcuni casi poi riadattati forzatamente per ulteriori scopi. Questo è un ecosistema morto!

Un rischio sempre dietro l’angolo
Quando si dimostra che tali informazioni possono essere restituite tramite una non facile operazione chirurgica e di restauro informatico, si corre il rischio di ricadere inesorabilmente nello stesso errore andando a predisporre le basi per un nuovo ecosistema che le reimprigioni per ulteriori ere geologiche.

Proprio per evitare questo rischio credo si potrebbe pensare di introdurre l’illuminante pratica dell’Open Data a livello enterprise. Sarebbe infatti lecito porsi una domanda: se tale pratica nasce per liberare definitivamente il dato e a ridargli nuova linfa vitale e dignità su scala planetaria per quale motivo non dovrebbe poter funzionare su una scala più piccola come quella aziendale?

Un possibile percorso
Ma cosa si dovrebbe fare per rendere operativa tale pratica che potremmo chiamare senza grande sforzo di fantasia “Enterprise (Linked) Open Data“?
Senza voler entrare nei dettagli tecnici proviamo ad elencare una serie di macro step propedeutici all’introduzione della pratica degli Open Data a livello enterprise:

  1. Censimento e definizione della topologia dei dati: quali aree aziendali prendere in considerazione e come organizzare i relativi dati in cataloghi e dataset.
  2. Specificare i formati: .pdf (pessimo), .xls (si può fare di meglio), .csv/tsv(decente), .xml (buono), rdf/owl (optimum!)
  3. Estrazione dei dati dalle fonti individuate nei formati prescelti
  4. Predisposizione di una piattaforma centrale (o federata) di servizi per la gestione dei dati, la loro classificazione, integrazione, ricerca e pubblicazione
  5. Definizione di un processo di lifecycle dei dati aperti
  6. Definizione delle policy di sicurezza e permission di accesso ai dati aperti

Per i più virtuosi
(7.) Volendo completare l’opera ci si può spingere ancora oltre e pubblicare i dati in modalità “Linked Open Data” (LOD) ossia sfruttando tecnologie semantiche come RDF, OWL, URI e SPARQL per dare ai dati una semantica esplicita, formale e renderli naturalmente interconnessi (tramite URL come avviene già per le pagine html), univoci, ricercabili e navigabili. Tutto in un colpo solo! Che meraviglia eh?… Vabbé ma questo è uno step solo per i più virtuosi.

Valore aggiunto
Una volta che i dati saranno così ben organizzati, aperti, classificati, ricercabili e facilmente integrabili fra loro, cosa avremo ottenuto di fatto? Quale potrebbe essere il reale e percepibile valore aggiunto di un tale approccio in ambito aziendale?
Proviamo a stilare un elenco di macro effetti benefici (a breve e a lungo termine):

  • I dati non sarebbero più il mezzo con cui esercitare un potere che normalmente alimenta rischiose pratiche di presidio dei vari domini di competenza all’interno dell’azienda.
  • Sì avrebbe un significativo e drastico calo della necessità di commissionare periodicamente assesment informativi ad aziende di consulenza esterna.
  • Sì avrebbe una considerevole semplificazione nel processo di sviluppo di nuove applicazioni “data-consumer” e di “data-integration”.
  • Semplificazione e gestione trasparente del patrimonio informativo dell’azienda tramite processi strutturati, condivisi e formali come da best practice di EIM.
  • Ottimizzazione dei processi di comunicazione e condivisione delle informazioni fra le diverse aree aziendali.

…e ne avrei altri…ma provate a pensarci e vedrete che vi verranno in mente anche a voi.

L’hai fatta troppo facile!
Ho sicuramente e volutamente semplificato il tutto perchè l’obiettivo di questo post non era tanto quello di descrivere una soluzione basata su Open Data ma piuttosto di proporre tale approccio in un contesto diverso da quello canonico del web e provare quindi ad immaginarne quali ne potrebbero essere gli immediati effetti benefici.
Per esperienza sono quindi consapevole che nella pratica vi sarebbero diverse problematiche con cui ci si scontrerebbe, prima fra tutte e non banale la sensibilizzazione del cliente stesso in merito a tali pratiche di EIM, la difficoltà di censire i dati rispetto alle varie sotto strutture aziendali, la reticenza dei vari responsabili a condividere i propri dati e la necessità imprescindibile di definire delle politiche di sicurezza precise sugli accessi ai dati.
Il mio ottimismo però (qualcuno direbbe “sei giovane!“) mi porta a pensare che, se è vero che l’Open Data ultimamente sta diventando una realtà in un campo così ostico e per sua natura inerziale come la PA Italiana, beh allora mi sento abbastanza confidente che tutte le possibili problematiche appena esposte possano essere superate in un ambito come quello delle grandi aziende (che dovrebbe essere) più portato ad ottimizzare e innovare.

Think positive…and open!

– MATTEO BUSANELLI –
mbusanelli(AT)imolinfo.it

Imolese DOP, dal 2008 a Imola Informatica dove sono cresciuto professionalmente lavorando sulle tecnologie Semantiche in ambito di Enteprise Knowledge Management (EKM). Tuttora mi occupo dell'applicazione di ontologie e piattaforme tecnologiche di Knowledge Management nelle grandi aziende su domini di Enterprise Architecture e IT Governance. Ma sono soprattutto un felice papà di due bimbi, un appassionato runner da strada, un lettore compulsivo su carta e ...Twix addicted!

2 commenti su “Enterprise (Linked) Open Data”

  1. E’ molto interessante che si sviluppi la discussione sui LOD in ambito Enterprise perchè credo che sia un’opportunità per le aziende di migliorare l’approccio alla “conoscenza aziendale” e un’opportunità in generale per sviluppare soluzioni in questo ambito. Il limite oggi è quello che i LOD sono un tema di interesse quasi esclusivamente per il settore pubblico, quindi con una certa capacità di investimento ma al tempo stesso con grandi limiti. L’apertura di un mercato “enterprise” consentirebbe di fare un enorme salto di qualità negli investimenti e di conseguenza nell’innovazione. Il timore è quello che le “resistenze culturali” siano molto forti, almeno fino a quando le grandi società di consulenza non matureranno una propria visione sul tema (ma questa cosa al momento non sembra imminente). Il tema dei Big Data è un tema critico per le aziende di grandi dimensione ma le soluzioni proposte fino ad ora sono molto orientate a dare un vantaggio competitivo a chi le fornisce (non al cliente) mentre i LOD vanno esattamente in direzione opposta.

    • Concordo e aggiungo che forse proprio la strada già percorsa dalle PA e in generale dagli enti governativi (non solo italiani) potrebbe rappresentare un primo esempio e “caso d’uso” da portare alle aziende come dimostrazione del fatto che tale approccio vada preso in considerazione e che il mercato in un modo o nell’altro si stia inevitabilmente creando.
      Una sorta di rassicurazione sul fatto che non si vuole vendere “fuffa” ma realmente innovare e migliorare come già i governi stanno facendo (del tipo “non siete soli”).

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